Io, che ne cominciavo avere piú voglia di lui, gli dissi che per essere venuto in Roma un certo maestro Giovanni da Castel Bolognese, molto valentuomo per far medaglie di quella sorte che io facevo, in acciaio, e che non desideravo altro al mondo che di fare a gara con questo valentomo, e uscire al mondo adosso con una tale impresa, per la quale io speravo con tal virtú, e non con la spada, ammazzare quelli parecchi mia nimici. Questo uomo pure mi continuava dicendomi: - Di grazia, Benvenuto mio, vien meco e fuggi un gran pericolo che in te io scorgo -. Essendomi io disposto in tutto e per tutto di voler prima finir la mia medaglia, di già eramo vicini al fine del mese; al quale, per essere invaghito tanto innella medaglia, io non mi ricordavo piú né di Angelica né di null'altra cotal cosa, ma tutto ero intento a quella mia opera.
LXVI. Un giorno fra gli altri, vicino a l'ora del vespro, mi venne occasione di trasferirmi fuor delle mie ore da casa alla mia bottega; perché avevo la bottega in Banchi, e una casetta mi tenevo drieto a Banchi, e poche volte andavo a bottega; ché tutte le faccende io le lasciavo fare a quel mio compagno che avea nome Felice. Stato cosí un poco a bottega, mi ricordai che io avevo a 'ndare a parlare a Lessandro del Bene. Subito levatomi e arrivato in Banchi, mi scontrai in un certo molto mio amico, il quale si domandava per nome ser Benedetto. Questo era notaio e era nato a Firenze, figliuolo d'un cieco che diceva l'orazione, che era sanese. Questo ser Benedetto era stato a Napoli molt' e molt'anni; dipoi s'era ridotto in Roma, e negoziava per certi mercanti sanesi de' Chigi.
| |
Roma Giovanni Castel Bolognese Benvenuto Angelica Banchi Banchi Felice Lessandro Banchi Benedetto Firenze Benedetto Napoli Roma Chigi Stato
|