A questo Sua Eccellenzia disse che gli pareva che io non fussi niente iscosto dal dovere; ma per esser legato di mia mano, conoscendomi per il primo uomo del mondo, non riuscirebbe, se un altro lo legasse, di quella eccellenzia che dimostrava. Allora io dissi, che il diamante non era legato di mia mano e che non era ben legato; e quello che egli faceva, lo faceva per sua propria bontà; e che se io gnene rilegassi, lo migliorerei assai da quel che gli era. E messo l'ugna del dito grosso ai filetti del diamante, lo trassi del suo anello, e nettolo alquanto lo porsi al Viceré; il quale satisfatto e maravigliato, mi fece una poliza, che mi fussi pagato li dugento scudi che io l'aveva domandato. Tornatomene al mio alloggiamento, trovai lettere che venivano dal cardinale de' Medici, le quali mi dicevano che io ritornassi a Roma con gran diligenzia, e di colpo me ne andassi a scavalcare a casa Sua Signoria reverendissima. Letto alla mia Angelica la lettera, con amorosette lacrime lei mi pregava che di grazia io mi fermassi in Napoli, o che io ne la menassi meco. Alla quale io dissi, che se lei ne voleva venir meco, che io gli darei in guardia quelli dugento ducati che io avevo presi dal Viceré. Vedutoci la madre a questi serrati ragionamenti, si accostò a noi, e mi disse: - Benvenuto, se tu ti vuoi menare la mia Angelica a Roma, lassami un quindici ducati, acciocché io possa partorire, e poi me ne verrò ancora io -. Dissi alla vecchia ribalda, che trenta volentieri gnene lascierei, se lei si contentava di darmi la mia Angelica.
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