E fattosi vicina a un'ora di notte, ivi comparse Nicolò Benintendi e Piero suo fratello, e un altro vecchione, qual credo che fussi Iacopo Nardi, insieme con parecchi altri giovani; e' quali subito giunti dimandavano il procaccia, ciascuno delle sue brigate di Firenze: il Tribolo e io stavamo là discosto, per non parlar con loro. Di poi che gl'ebbono ragionato un pezzo con Lamentone, quel Nicolò Benintendi disse: - Io gli cognosco quei dua benissimo; perché fann'eglino tante merde di non ci voler parlare? - Il Tribolo pur mi diceva che io stessi cheto. Lamentone disse loro, che quella licenzia che era data allui, non era data a noi. Il Benintendi aggiunse e disse che l'era una asinità, mandandoci cancheri e mille belle cose. Allora io alzai la testa con piú modestia che io potevo e sapevo, e dissi: - Cari gentiluomini, voi ci potete nuocere assai, e noi a voi non possiamo giovar nulla; e con tutto che voi ci abiate detto qualche parola la quale non ci si conviene, né anche per questo non vogliamo essere adirati con esso voi -. Quel vecchione de' Nardi disse che io avevo parlato da un giovane da bene, come io ero. Nicolò Benintendi allora disse: - Io ho in culo loro e il Duca -. Io replicai, che con noi egli aveva torto, che non avevàno che far nulla de' casi sua. Quel vecchio de' Nardi la prese per noi, dicendo al Benintendi che gli aveva il torto; onde lui pur continuava di dire parole ingiuriose. Per la qualcosa io li dissi che io li direi e farei delle cose che gli dispiacerebbono; sí che attendessi al fatto suo, e lasciassici stare.
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