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      Cosí andai a trovare misser Ambruogio; il quale era informato benissimo della cosa del bargello, e era stato lui d'accordo con i nimici mia per farmi tornare, e aveva isgridato il bargello che non mi aveva preso; il qual si scusava, che contra a uno salvo condotto a quel modo lui non lo poteva fare. Il ditto messer Ambruogio mi cominciò a ragionare della faccenda che gli aveva commesso il Papa; di poi mi disse che io ne facessi i disegni e che si darebbe a ogni cosa. Intanto ne venne il giorno delle Sante Marie; e perché l'usanza si è, quelli che hanno queste cotai grazie, di costituirsi in prigione; per la qual cosa io mi ritornai al Papa e dissi a Sua Santità, che io non mi volevo mettere in prigione e che io pregavo quella, che mi facessi tanto di grazia, che io non andassi prigione. Il Papa mi rispose che cosí era l'usanza, e cosí si facessi. A questo io m'inginocchiai di nuovo, e lo ringraziai del salvo condotto che Sua Santità mi aveva fatto; e che con quello me ne ritornerei a servire il mio Duca di Firenze, che con tanto desiderio mi aspettava. A queste parole il Papa si volse a un suo fidato e disse:
      - Faccisi a Benvenuto la grazia senza il carcere; cosí se gli acconci il suo moto propio, che stia bene -. Fattosi acconciare il moto propio, il Papa lo risegnò: fecesi registrare al Campidoglio; di poi, quel deputato giorno, in mezzo a dua gentiluomini molto onoratamente andai in processione, ed ebbi la intera grazia.
     
      LXXXIV. Dappoi quattro giorni appresso, mi prese una grandissima febbre con freddo inistimabile: e postomi a letto, subito mi giudicai mortale.


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La Vita di Benvenuto Cellini
di Benvenuto Cellini
pagine 536

   





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