Io, che avevo una sete inistimabile, e mi ero riguardato, sí come loro mi avevano ordinato, di molti giorni: e quel Felice, che gli pareva aver fatto una bella impresa a camparmi, non si partiva mai da me; e quel vecchio non mi dava piú tanta noia, ma in sogno qualche volta mi visitava. Un giorno Felice era andato fuora, e a guardia mia era restato un mio fattorino e una serva, che si chiamava Beatrice. Io dimandavo quel fattorino quel che era stato di quel Cencio mio ragazzo e che voleva dire che io non lo avevo mai veduto a' mia bisogni. Questo fattorino mi disse che Cencio aveva aùto assai maggior male di me, e che gli stava in fine di morte. Felice aveva lor comandato che non me lo dicessino. Detto che m'ebbe tal cosa io ne presi grandissimo dispiacere: di poi chiamai quella serva detta Beatrice, pistolese, e la pregai che mi portassi pieno d'acqua chiara e fresca uno infrescatoio grande di cristallo, che ivi era vicino. Questa donna corse subito, e me lo portò pieno. Io li dissi che me lo appoggiassi alla bocca e che se la me ne lasciava bere una sorsata a mio modo, io li donerei una gammurra. Questa serva, che m'aveva rubato certe cosette di qualche inportanza, per paura che non si ritrovassi il furto, arebbe aùto molto a caro che io fussi morto; di modo che la mi lasciò bere di quell'acqua per dua riprese quant'io potetti, tanto che buonamente io ne bevvi piú d'un fiasco: di poi mi copersi e cominciai a sudare e addormenta'mi. Tornato Felice di poi che io dovevo aver dormito in circa a un'ora, dimandò il fanciullo quel che io facevo.
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