Tu vedi, la infermità è stata sí grande, che portandogli l'olio santo noi non eramo stati a tempo; ora io cognosco, che con un poco di pazienzia e di tempo e' farà ancora dell'altre belle opere -. Poi si volse a me, e disse: - Benvenuto mio, sia savio e non fare disordini nessuno: e come tu se' guarito voglio che tu mi faccia una Nostra Donna di tua mano, perché la voglio adorar sempre per tuo amore -. Allora io gnene promessi; dipoi lo domandai se fussi bene che io mi trasferissi in sino a Firenze. Allora e' mi disse che io mi assicurassi un po' meglio e che e' si vedessi quel che la natura faceva.
LXXXVI. Passato che noi otto giorni, il miglioramento era tanto poco, che quasi io m'ero venuto a noia a me medesimo; perché io ero stato piú di cinquanta giorni in quel gran travaglio; e resolutomi mi messi in ordine; e in un paio di ceste 'il mio caro Felice e io ce ne andammo alla volta di Firenze; e perché io non avevo scritto nulla, giunsi a Firenze in casa la mia sorella, dove io fui pianto e riso a un colpo da essa sorella. Per quel dí mi venne a vedere molti mia amici; fra gli altri Pier Landi, ch'era il maggior e il piú caro che io avessi mai al mondo; l'altro giorno venne un certo Nicolò da Monte Aguto, il quale era mio grandissimo amico; e perché gli aveva sentito dire al Duca: - Benvenuto faceva molto meglio a morirsi, perché gli è venuto qui a dare in una cavezza, e non gnene perdonerò mai - venendo Nicolò a me, disperatamente mi disse: - Oimè, Benvenuto mio caro: che se' tu venuto a far qui? non sapevi tu quel che tu hai fatto contro al Duca? che gli ho udito giurare, dicendo che tu sei venuto a dare in una cavezza a ogni modo -. Allora io dissi: - Nicolò, ricordate a Sua Eccellenzia che altretanto già mi volse fare papa Clemente, e a sí torto; che faccia tener conto di me e mi lasci guarire; per che io mostrerrò a Sua Eccellenzia, che io gli sono stato il piú fidel servitore che gli arà mai in tempo di sua vita; e perché qualche mio nimico arà fatto per invidia questo cattivo uffizio, aspetti la mia sanità, che come io posso gli renderò tal conto di me, che io lo farò maravigliare -. Questo cattivo uffizio l'aveva fatto Giorgetto Vassellario aretino, dipintore, forse per remunerazione di tanti benifizii fatti a lui; che avendolo trattenuto in Roma e datogli le spese, e lui messomi assoqquadro la casa; perché gli aveva una sua lebbrolina secca, la quale gli aveva usato le mane a grattar sempre, e dormendo con un buon garzone che io avevo, che si domandava Manno, pensando di grattar sé, gli aveva scorticato una gamba al detto Manno con certe sue sporche manine, le quale non si tagliava mai l'ugna.
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