Alle ventitré ore poi io portai su l'anello: e perché e' non mi era tenuto porta, alzato cosí discretamente la portiera, viddi il Papa insieme col marchese del Guasto, il quale lo doveva istrignere di quelle cose che lui non voleva fare, e senti' che disse al Marchese: - Io vi dico di no, perché a me si appartiene esser neutro e non altro -. Ritiratomi presto indietro, il Papa medesimo mi chiamò: onde io presto entrai, e pòrtogli quel bel diamante in mano, il Papa mi tirò cosí da canto, onde il Marchese si scostò. Il Papa in mentre che guardava il diamante, mi disse: - Benvenuto, appicca meco ragionamento che paia d'importanza, e non restar
mai in sin che il Marchese istà qui in questa camera -. E mosso a passeggiare, la cosa che faceva per me, mi piacque, e cominciai a ragionar col Papa del modo che io avevo fatto a tignere il diamante. Il Marchese istava ritto da canto, appoggiato a un panno d'arazzo, e or si scontorceva in sun un piè e ora in sun un altro. La tema di questo ragionamento era tanto d'importanza, volendo dirla bene, che si sarebbe ragionato tre ore intere. Il Papa ne pigliava tanto gran piacere, che trapassava il dispiacere che gli aveva del Marchese, che stessi quivi. Io che avevo mescolato inne' ragionamenti quella parte di filosofia che s'apparteneva in quella professione, di modo che avendo ragionato cosí vicino a un'ora, venuto a noia al Marchese, mezzo in còllora si partí: allora il Papa mi fece le piú domestiche carezze, che immaginar si possa al mondo, e disse: - Attendi, Benvenuto mio, che io ti darò altro premio alle tue virtú, che mille scudi che m'ha ditto Gaio che merita la tua fatica -. Cosí partitomi, il Papa mi lodava alla presenza di quei suoi domestici, infra i quali era quel Latin Iuvenale, che dianzi io avevo parlato.
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