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      E perché io avevo un garzone perugino, il quale mi aveva aiutato finir quelle opere del Papa, a questo detti licenzia, avendolo pagato delle sue fatiche. Il quale mi disse, che mi pregava che io lo lasciassi venir meco, e che lui verrebbe a sue spese; che s'egli accadessi che io mi fermassi a lavorare con il Re di Francia, gli era pure il meglio che io avessi meco de li mia Italiani, e maggiormente di quelle persone che io cognoscevo che mi arebbon saputo aiutare. Costui seppe tanto pregarmi, che io fui contento di menarlo meco innel modo che lui aveva detto. Ascanio, trovandosi ancora lui alla presenza di questo ragionamento, disse mezzo piangendo: - Dipoi che voi mi ripigliasti, i' dissi di voler star con voi a vita, e cosí ho in animo di fare -. Io dissi al ditto che io non lo volevo per modo nessuno. Il povero giovanetto si metteva in ordine per venirmi drieto a piede. Veduto fatto una tal resoluzione, presi un cavallo ancora per lui, e messogli una mia valigetta in groppa, mi caricai di molti piú ornamenti che fatto io non arei; e partitomi di Roma ne venni a Firenze, e da Firenze a Bologna, e da Bologna a Vinezia, e da Vinezia me ne andai a Padova: dove io fui levato d'in su l'osteria da quel mio caro amico, che si domandava Albertaccio del Bene. L'altro giorno a presso andai a baciar le mane a messer Pietro Bembo, il quale non era ancor cardinale. Il detto messer Pietro mi fece le piú sterminate carezze che mai si possa fare a uomo del mondo; di poi si volse ad Albertaccio e disse: - Io voglio che Benvenuto resti qui con tutte le sue persone, se lui ne avessi ben cento; sí che risolvetevi, volendo anche voi Benvenuto, a restar qui meco, altrimenti io non ve lo voglio rendere - e cosí mi restai a godere con questo virtuosissimo Signore.


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La Vita di Benvenuto Cellini
di Benvenuto Cellini
pagine 536

   





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