Io mi gittai in su la man ritta, e roppi certe siepe; cosí guidavo i mia giovani e 'l Busbacca. La guida gridava, dicendomi in tedesco pure che se quei populi mi vedevano, mi arebbero ammazzato. Passammo innanzi e scampammo quell'altra furia. Arrivammo a Surich, città maravigliosa, pulita quanto un gioiello. Quivi riposammo un giorno intero, di poi una mattina per tempo ci partimmo; capitammo a un'altra bella città chiamata Solutorno: di quivi capitammo a Usanna, da Usanna a Ginevra, da Ginevra a Lione, sempre cantando e ridendo. A Lione mi riposai per quattro giornate; molto mi rallegrai con alcuni mia amici; fui pagato della spesa che io avevo fatta per il Busbacca; di poi in capo dei quattro giorni, presi il cammino per la volta di Parigi. Questo fu viaggio piacevole, salvo che quando noi giugnemmo alla Palissa, una banda di venturieri ci volsono assassinare, e non con poca virtú ci salvammo. Di poi ce ne andammo insino a Parigi sanza un disturbo al mondo: sempre cantando e ridendo giugnemmo a salvamento.
XCVIII. Riposatomi in Parigi alquanto, me ne andai a trovare il Rosso dipintore, il quale stava al servizio del Re. Questo Rosso io pensava che lui fossi il maggiore amico che io avessi al mondo, perché io gli avevo fatto in Roma i maggior piaceri che possa fare un uomo a un altro uomo; e perché questi cotai piaceri si posson dire con brieve parole, io non voglio mancare di non gli dire, mostrando quant'è sfacciata la ingratitudine. Per la sua mala lingua, essendo lui in Roma, gli aveva detto tanto male de l'opere di Raffaello da Urbino, che i discepoli suoi lo volevano ammazzare a ogni modo: da questo lo campai, guardandolo dí e notte con grandissime fatiche.
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