Benché poco io potessi lavorare, vedendomi a quel modo carcerato a cosí gran torto; pure facevo della necessità virtú: lietamente il meglio che io potevo mi comportavo questa mia perversa fortuna. Avevomi fatto amicissimi tutte quelle guardie e molti soldati del Castello. E perché il Papa veniva qualche volta a cena in Castello, e in questo tempo che c'era il Papa il Castello non teneva guardie, ma stava liberamente aperto come un palazzo ordinario; e perché in questo tempo che il Papa stava cosí, tutti e' prigioni si usavono con maggior diligenza riserrare; onde a me non era fatto nessuna di queste cotal cose, ma liberamente in tutti questi tempi io me ne andavo per il Castello; e piú volte alcuni di quei soldati mi consigliavano che io mi dovessi fuggire, e che loro mi arieno fatte spalle, conosciuto il gran torto che m'era fatto: ai quali io rispondevo che io avevo dato la fede mia al Castellano, il quale era uomo tanto dabbene, e che mi aveva fatto cosí gran piaceri. Eraci un soldato molto bravo e molto ingegnoso; e' mi diceva: - Benvenuto mio, sappi che chi è prigione non è ubrigato né si può ubrigare a osservar fede, sí come nessuna altra cosa; fa' quel che io ti dico; fúggiti da questo ribaldo di questo Papa e da questo bastardo suo figliuolo, i quali ti torranno la vita a ogni modo -. Io che m'ero proposto piú volentieri perder la vita, che mancare a quello uomo da bene del Castellano della mia promessa fede, mi comportavo questo inistimabil dispiacere, insieme con un frate di casa Palavisina grandissimo predicatore.
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