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      Ancora io, volendo mostrare qualche sottigliezza di mio ingegno a questo virtuoso frate, gli dissi, che ogni serratura difficilissima io sicuramente aprirrei, e maggiormente quelle di quelle prigione, le quale mi sarebbono state come mangiare un poco di cacio fresco. Il ditto frate, per farmi dire il mio segreto, mi sviliva, dicendo che le son molte cose quelle che dicon gli uomini che son venuti in qualche credito di persone ingegnose; che se gli avessino poi a mettere in opera le cose di che loro si vantavano, perderebbon tanto di credito, che guai a loro: però sentiva dire a me cose tanto discoste al vero, che se io ne fossi ricerco, penserebbe ch'io n'uscissi con poco onore. A questo, sentendomi io pugnere da questo diavolo di questo frate, gli dissi che io osavo sempre prometter di me con parole molto manco di quello che io sapevo fare, e che cotesta cosa, che io avevo promessa, delle chiave, era la piú debole; e con breve parole io lo farei capacissimo che l'era sí come io dicevo; e inconsideratamente, sí come io dissi, gli mostrai con facilità tutto quel che io avevo detto. Il frate, facendo vista di non se ne curare, subito benissimo apprese ingegnosissimamente il tutto. E sí come di sopra io ho detto, quello uomo da bene del Castellano mi lasciava andare liberamente per tutto il Castello; e manco la notte non mi serrava, sí come attutti gli altri e' faceva; ancora mi lasciava lavorare di tutto quello che io volevo, sí d'oro e d'argento e di cera; e se bene io avevo lavorato parecchi settimane in un certo bacino che io facevo al cardinal di Ferrara, trovandomi affastidito dalla prigione, m'era venuto annoia il lavorare quelle tale opere; e solo mi lavoravo, per manco dispiacere, di cera alcune mie figurette: la qual cera il detto frate me ne buscò un pezzo, e con detto pezzo messe in opera quel modo delle chiave, che io inconsideratamente gli avevo insegnato.


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La Vita di Benvenuto Cellini
di Benvenuto Cellini
pagine 536

   





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