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      Quando noi dicevamo questo, noi passeggiavamo intorno al mastio del Castello. Avvenne che il Castellano ancora lui passeggiava: incontrandoci appunto in Sua Signoria, e Ascanio disse: - Io me ne vo, e addio per sempre -. A questo io dissi: - E per sempre voglio che sia, e cosí sia il vero: io commetterò alle guardie che mai piú ti lascin passare - e voltomi al Castellano, con tutto il cuore lo pregai, che commettessi alle guardie che non lasciassino mai piú passare Ascanio, dicendo a Sua Signoria: - Questo villanello mi viene a crescere male al mio gran male; sí che io vi priego, Signor mio, che mai piú voi lasciate entrar costui -. Il Castellano li incresceva assai, perché lo conosceva di maraviglioso ingegno: a presso a questo egli era di tanta bella forma di corpo, che pareva che ogniuno, vedutolo una sol volta, gli fossi espressamente affezionato. Il ditto giovane se ne andava lacrimando, e portavane una sua stortetta, che alcune volte lui segretamente si portava sotto. Uscendo del Castello e avendo il viso cosí lacrimoso, si incontrò in dua di quei mia maggior nimici, che l'uno era quel Ieronimo perugino sopra ditto, e l'altro era un certo Michele, orefici tutt'a dua. Questo Michele, per essere amico di quel ribaldo di quel Perugino e nimico d'Ascanio, disse: - Che vuol dir che Ascanio piagne? Forse gli è morto il padre? dico quel padre di Castello -. Ascanio disse a questo: - Lui è vivo, ma tu sarai or morto - e alzato la mana, con quella sua istorta gli tirò dua colpi, in sul capo tutt'a dua, che col primo lo misse in terra, e col sicondo poi gli tagliò tre dita della man ritta, dandogli pure in sul capo.


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La Vita di Benvenuto Cellini
di Benvenuto Cellini
pagine 536

   





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