Quivi restò come morto. Subito fu riferito al Papa; e il Papa in gran còllora disse queste parole: - Da poi che il Re vuole che sia giudicato, andategli a dare tre dí di tempo per difendere la sua ragione -. Subito vennono, e feciono il detto uflizio che aveva lor commesso il Papa. Quello uomo da bene del Castellano subito andò dal Papa, e fecelo chiaro come io non ero consapevole di tal cosa, e che io l'avevo cacciato via. Tanto mirabilmente mi difese, che mi campò la vita da quel gran furore. Ascanio se ne fuggí a Tagliacozze a casa sua, e di là mi scrisse chiedendomi mille volte perdonanza, che cognosceva avere auto torto a aggiugnermi dispiaceri ai mia gran mali; ma se Dio mi dava grazia che io uscissi di quel carcere, che non mi vorrebbe mai piú abbandonare. Io gli feci intendere che attendessi a 'mparare, e che se Dio mi dava libertà, io lo chiamerei a ogni modo.
CVII. Questo Castellano aveva ogni anno certe infermità che lo traevano del cervello a fatto; e quando questa cosa gli cominciava a venire, e' parlava assai: modo che cicalare; e questi umori sua erano ogni anno diversi, perché una volta gli parve essere uno orcio da olio; un'altra volta gli parve essere un ranocchio, e saltava come il ranocchio; un'altra volta gli parve esser morto, e bisognò sotterrarlo: cosí ogni anno veniva in qualcun di questi cotai umori diversi. Questa volta si cominciò a immaginare d'essere un pipistrello e, in mentre che gli andava a spasso, istrideva qualche volta cosí sordamente come fanno i pipistrelli; ancora dava un po' d'atto alle mane e al corpo, come se volare avessi voluto.
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