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      Giudicato quello che mi potria servire, e di tutto messomi in ordine, trovai un paio di tanaglie, che io avevo tolto a un Savoino il quale era delle guardie del Castello. Questo aveva cura alle botte e alle citerne; ancora si dilettava di lavorare di legname; e perché aveva parecchi paia di tanaglie, infra queste ve n'era un paio molto grosse e grande: pensando che le fussino il fatto mio, io gliene tolsi e le nascosi drento in quel pagliericcio. Venuto poi il tempo che io me ne volsi servire, io cominciai con esse a tentare di quei chiodi che sostenevano le bandelle; e perché l'uscio era doppio, la ribaditura delli detti chiodi non si poteva vedere; di modo che provatomi a cavarne uno, durai grandissima fatica; pure di poi alla fine mi riuscí. Cavato che io ebbi questo primo chiodo, andai immaginando che modo io dovevo tenere che loro non se ne fussino avveduti. Subito mi acconciai con un poco di rastiatura di ferro rugginoso un poco di cera, la quale era del medesimo colore appunto di quelli cappelli d'aguti che io avevo cavati; e con essa cera diligentemente cominciai a contrafare quei capei d'aguti in sulle lor bandelle: e di mano in mano tanti quanti io ne cavavo, tanti ne contrafacevo di cera. Lasciai le bandelle attaccate ciascuna da capo e da piè con certi delli medesimi aguti che io avevo cavati, di poi gli avevo rimessi; ma erano tagliati, di poi rimessi leggermente, tanto che e' mi tenevano le bandelle. Questa cosa io la feci con grandissima difficultà, perché il Castellano sognava ogni notte che io m'ero fuggito, e però lui mandava a vedere di ora in ora la prigione; e quello che veniva a vederla aveva nome e fatti di birro.


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La Vita di Benvenuto Cellini
di Benvenuto Cellini
pagine 536

   





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