Al quale io risposi, che sí come i gentili uomini sono ubrigati a far la credenza al Papa; cosí lui, soldato, spezial, villan da Prato, era ubrigato a far la credenza a un Fiorentino par mio. Questo disse di gran parole, e io allui. Quel messer Antonio, vergognandosi alquanto, e ancora disegnato di farmi pagare quelle spese che il povero Castellano morto mi aveva donate, trovò un altro di quei sua servitori, il quale era mio amico; e mi mandava la mia vivanda, alla quale piacevolmente il sopra ditto mi faceva la credenza sanza altra disputa. Questo servitore mi diceva come il Papa era ogni dí molestato da quel monsignor di Morluc, il quale da parte del Re continuamente mi chiedeva; e che il Papa ci aveva poca fantasia a rendermi; e che il cardinale Farnese, già tanto mio patrone e amico, aveva aùto a dire che io non disegnassi uscire di quella prigione di quel pezzo: al quale io dicevo, che io n'uscirei a dispetto di tutti. Questo giovane dabbene mi pregava che io stessi cheto, e che tal cosa io non fussi sentito dire, perché molto mi nocerebbe; e che quella fidanza, che io avevo in Dio, dovessi aspettare la grazia sua, standomi cheto. A lui dicevo che le virtú de Dio non hanno aver paura delle malignità della ingiustizia.
CXXVII. Cosí passando pochi giorni innanzi, comparse a Roma il cardinale di Ferrara; il quale, andando a fare reverenzia al Papa, il Papa lo trattenne tanto, che venne l'ora della cena. E perché il Papa era valentissimo uomo, volse avere assai agio a ragionare col Cardinale di quelle francioserie.
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