Questo capitolo scrivo a Luca Martini chiamandolo in esso come qui si sente.
Chi vuol saper quant'è il valor de Dio,
e quant'un uomo a quel Ben si assomiglia,
convien che stie 'n prigione, al parer mio;
sie carco di pensieri e di famiglia,
e qualche doglia per la sua persona,
e lunge esser venuto mille miglia.
Or se tu vuoi poter far cosa buona,
sie preso a torto, e poi istarvi assai,
e non avere aiuto da persona;
ancor ti rubin quel po' che tu hai:
pericol della vita; ebbistrattato,
senza speranza di salute mai.
E sforzinti gittare al disperato,
rompere il carcer, saltare il Castello:
poi sie rimesso in piú cattivo lato.
Ascolta, Luca, or che ne viene il bello:
aver rotto una gamba, esser giuntato,
la prigion molle e non aver mantello.
Né mai da nissuno ti sie parlato,
e ti porti il mangiar con trista nuova
un soldato, spezial, villan da Prato.
Or senti ben dove la gloria pruova:
non v'esser da seder, se non sul cesso;
pur sempre desto a far qualcosa nuova.
Al servitor comandamento spressoche non ti oda parlar, né dièti nulla;
e la porta apra un picciol picciol fesso.
Or quest'è dove un bel cervel trastulla:
né carta, penna, inchiostro, ferro o fuoco,
e pien di bei pensier fin dalla culla.
La gran pietà, che se n'è detto poco,
ma per ogniuna immàginane cento,
ché a tutte ho riservato parte e loco.
Or, per tornar al nostro primo entento,
e dir lode che merta la prigione:
non basteria del Ciel chiunche v'è drento.
Qua non si mette mai buone persone,
se non vien da ministri, o mal governo,
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