invidie, isdegno o per qualche quistione.
Per dir il ver di quel ch'io ne discerno,
qua si cognosce e sempre Idio si chiama,
sentendo ognor le pene dello Inferno.
Sie tristo un, quant'e' può al mondo, in fama,
e stie 'n prigione in circa a dua mal'anni,
e' n'esce santo e savio, ed ogniun l'ama.
Qua s'affinisce l'alma, e 'l corpo, e' panni;
ed ogni omaccio grosso si assottiglia,
e vedesi del Ciel fino agli scanni.
Ti vo' contar una gran maraviglia:
venendomi di scrivere un capriccio,
che cose in un bisogno un uomo piglia.
Vo per la stanza, e' cigli e 'l capo arriccio,
poi mi drizzo a un taglio della porta,
e co' denti un pezzuol di legno spiccio;
e presi un pezzo di matton per sorta,
e rotto in polver ne ridussi un poco;
poi ne feci un savor coll'acqua morta.
Allora allor della poesia il fuoco
m'entrò nel corpo, e credo per la via
ond'esce il pan; ché non v'era altro loco.
Per tornare a mia prima fantasia,
convien, chi vuol saper che cosa è 'l bene,
prima che sappia il mal, che Dio gli dia.
D'ogn'arte la prigion sa fare e tiene:
se tu volessi ben dello speziale,
ti fa sudare il sangue per le vene.
Poi l'ha in sé un certo naturale,
ti fa loquente, animoso e audace,
carco di bei pensieri in bene e in male.
Buon per colui che lungo tempo iace
'n una scura prigion, e po' alfin n'esca:
sa ragionar di guerra, triegua e pace.
Gli è forza che ogni cosa gli riesca;
ché quella fal'uom sí di virtú pieno,
che 'l cervel non gli fapoi la moresca.
Tu mi potresti dir: - Quelli anni hai meno -:
E' non è 'l ver, ché la t'insegna un modo
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Idio Inferno Ciel Dio
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