Oh quante volte m'han fatto la guancia
pallida e smorta questi gigli, a tale
ch'io non vo' piú né Firenze né Francia!
E se m'avien ch'io vada allo spedale,
e dipinto vi sia la Nunziata,
fuggirò, ch'io parrò uno animale.
Non dico già per Lei, degna e sagrata,
né de' suoi gigli glorïosi e santi,
che hanno il cielo e la terra inluminata;
ma, perché ognior ne veggo su pe' canti
di quei che hanno le lor foglie a uncini,
arò paur che non sien di quei tanti.
Oh quanti come me vanno tapini,
qual nati, qual serviti a questa impresa,
spirti chiari, leggiadri, alti e divini!
Vidi cader la mortifer'impresadal ciel veloce, fra la gente vana,
poi nella pietra nuova lampa accesa;
del Castel prima romper la campana,
che io n'uscissi; e me l'aveva detto
Colui che in Cielo e in terra il vero spiana;
di bruno, appresso a questo, un cataletto
di gigli rotti ornato; pianti e croce,
e molti afflitti per dolor nel letto.
Viddi colei che l'alme affligge e cuoce,
che spaventava or questo, or quel; poi disse:
- Portar ne vo' nel sen chiunche a te nuoce -.
Quel Degno poi nella mia fronte scrissecol calamo di Pietro a me parole,
e ch'io tacessi ben tre volte disse.
Vidi Colui che caccia e affrena il sole,
vestito d'esso in mezzo alla sua Corte,
qual occhio mortal mai veder non suole.
Cantava un passer solitario forte
sopra la ròcca; ond'io - Per certo - dissi,
- Quel mi predice vita, e a voi morte -.
E le mie gran ragion cantai e scrissi,
chiedendo solo a Dio perdon, soccorso,
ché sentia spegner gli occhi a morte fissi.
Non fu mai lupo, leon, tigre, e orso
| |
Firenze Francia Nunziata Castel Cielo Degno Pietro Colui Corte Dio
|