- Il Cardinale disse che io dessi ordine e spedissi le faccende mie, che io avevo in Roma, in fra dieci giorni.
III. Venuto il tempo della partita, mi donò un cavallo bello e buono; e lo domandava Tornon, perché il cardinal Tornon l'aveva donato a lui. Ancora Pagolo e Ascanio, mia allevati, furno provisti di cavalcature. Il Cardinale divise la sua Corte, la quale era grandissima: una parte piú nobile ne menò seco: con essa fece la via della Romagna, per andare a visitare la Madonna del Loreto, e di quivi poi a Ferrara, casa sua; l'altra parte dirizzò per la volta di Firenze. Questa era la maggior parte; ed era una gran quantità, con la bellezza della sua cavalleria. A me disse che se io volevo andar sicuro, che io andassi seco: quando che no, che io portavo pericolo della vita. Io detti intenzione a Sua Signoria reverendissima di andarmene seco; e cosí come quel ch'è ordinato dai Cieli convien che sia, piacque a Dio che mi tornò in memoria la mia povera sorella carnale, la quale aveva auto tanti gran dispiaceri de' miei gran mali. Ancora mi tornò in memoria le mie sorelle cugine, le quali erano a Viterbo monache, una badessa e l'altra camarlinga, tanto che l'eran governatrice di quel ricco monisterio; e avendo aùto per me tanti grevi affanni e per me fatto tante orazione, che io mi tenevo certissimo per le orazioni di quelle povere verginelle d'avere impetrato la grazia da Dio della mia salute. Però venutemi tutte queste cose in memoria, mi volsi per la volta di Firenze; e dove io sarei andato franco di spese o col Cardinale o coll'altro suo traino, io me ne volsi andare da per me; e m'accompagnai con un maestro di oriuoli eccellentissimo, che si domandava maestro Cherubino, molto mio amico.
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