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      Lasciato il mio cavallo a' mie' giovani che me lo conducessino, subito innanzi m'avviai per giugnere in Siena una mezz'ora prima, sí per vicitare alcuno mio amico, e per fare qualche altra mia faccenda: però, se bene io venni presto, io non corsi la detta cavalla. Giunto che io fui in Siena, presi le camere all'osteria, buone che ci faceva di bisogno per cinque persone, e per il garzon de l'oste rimandai la detta cavalla alla posta, che stava fuori della porta a Camollía; e in su detta cavalla m'avevo isdementicato le mie staffe e il mio cucino. Passammo la sera del giovedí santo molto lietamente: la mattina poi, che fu il venerdí santo, io mi ricordai delle mie staffe e del mio cucino. Mandato per esso, quel maestro delle poste disse che non me lo voleva rendere, perché io avevo corso la sua cavalla. Piú volte si mandò innanzi e indietro e il detto sempre diceva di non me le voler rendere, con molte ingiuriose e insopportabil parole; e l'oste, dove io ero alloggiato, mi disse: - Voi n'andate bene se egli non vi fa altro che non vi rendere il cucino e le staffe - e aggiunse dicendo: - Sappiate che quello è il piú bestial uomo che avessi mai questa città; e ha quivi duoi figliuoli uomini, soldati bravissimi, piú bestiali di lui; sí che ricomperate quel che vi bisogna, e passate via sanza dirgli niente -. Ricomperai un paio di staffe, pur pensando con amorevol parole di riavere il mio buon cucino: e perché io ero molto bene a cavallo, e bene armato di giaco e maniche, e con un mirabile archibuso all'arcione, non mi faceva spavento quelle gran bestialità che colui diceva che aveva quella pazza bestia.


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La Vita di Benvenuto Cellini
di Benvenuto Cellini
pagine 536

   





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