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      Ancora avevo avezzo quei mia giovani a portare giaco e maniche, e molto mi fidavo di quel giovane romano che mi pareva che non se lo cavassi mai, mentre che noi stavamo in Roma. Ancora Ascanio, ch'era pur giovanetto, ancora lui lo portava: e per essere il venerdí santo, mi pensavo che la pazzia de' pazzi dovesse pure avere qualche poco di feria. Giugnemmo alla ditta porta a Camollía; per la qual cosa io viddi e cognobbi, per i contrasegni che m'eran dati, per esser cieco de l'occhio manco, questo maestro delle poste. Fattomigli incontro, e lasciato da banda quei mia giovani e quei compagni, piacevolmente dissi: - Maestro delle poste, se io vi fo sicuro che io non ho corso la vostra cavalla, perché non sarete voi contento di rendermi il mio cucino e le mie staffe? - A questo lui rispose veramente in quel modo pazzo, bestiale che m'era stato detto. Per la qual cosa io gli dissi: - Come non siate voi cristiano? O volete voi 'n un venerdí santo scandalizzare e voi e me? - Disse che non gli dava noia o venerdí santo o venerdí diavolo, e che, se io non mi gli levavo d'inanzi, con uno spuntone che gli aveva preso, mi traboccherebbe in terra insieme con quell'archibuso che io avevo in mano. A queste rigorose parole s'accostò un gentiluomo vecchio, sanese, vestito alla civile, il qual tornava da far di quelle divozione che si usano in un cotal giorno; e avendo sentito di lontano benissimo tutte le mie ragione, arditamente s'accostò a riprendere il detto maestro delle poste, pigliando la parte mia, e garriva li sua dua figliuoli perché e' non facevano il dovere ai forestieri che passavano, e che a quel modo e' facevano contro a Dio, e davano biasimo alla città di Siena.


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La Vita di Benvenuto Cellini
di Benvenuto Cellini
pagine 536

   





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