Demmo di piedi a' cavagli, e lasciammo messer Cherubino e 'l milanese, che a loro agio se ne venissino.
V. Intanto e' figliuoli del morto corsono al Duca di Melfi, che dessi loro parecchi cavagli leggieri, per raggiugnerci e pigliarci. Il detto Duca, saputo che noi eramo degli uomini del cardinale di Ferrara, non volse dare né cavagli né licenzia. Intanto noi giugnemmo a Staggia, dove ivi noi fummo sicuri. Giunti in Istaggia, cercammo d'un medico, il meglio che in quel luogo si poteva avere: e fatto vedere il detto Pagolo, la ferita andava pelle pelle, e cognobbi che non arebbe male. Facemmo mettere in ordine da desinare. Intanto comparse messer Cherubino e quel pazzo di quel milanese, che continuamente mandava il canchero alle quistione, e diceva d'essere iscomunicato, perché non aveva potuto dire in quella santa mattina un sol Paternostro. Per essere costui brutto di viso, e la bocca aveva grande per natura; da poi per la ferita che in essa aveva auta gli era cresciuta la bocca piú di tre dita; e con quel suo giulío parlar milanese, e con essa lingua isciocca, quelle parole che lui diceva ci davano tanta occasione di ridere, che in cambio di condolerci della fortuna, non possevamo fare di non ridere a ogni parola che costui diceva. Volendogli il medico cucire quella ferita della bocca, avendo fitto di già tre punti, disse al medico che sostenessi alquanto, ché non arebbe voluto che per qualche nimicizia e' gliene avessi cucita tutta: e messe mano a un cucchiaio, e diceva che voleva che lui gnene lasciassi tanto aperta, che quel cucchiaio v'entrassi, acciò che potessi tornar vivo alle sue brigate.
| |
Cherubino Duca Melfi Duca Ferrara Staggia Istaggia Pagolo Cherubino Paternostro
|