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      Allui subito risposi che i figliuoli de l'arte mia andavano in quel modo che io avevo detto; e per non essere stato mai figliuol di duca, quelli non sapevo come s'andassino; e che se gli usava meco quelle istratte parole ai mia orecchi, che io non v'andrei in modo nessuno, sí per avermi mancato il Cardinale della fede sua e, arrotomi poi queste villane parole, io mi risolverei sicuramente di non mi voler impacciare con ferraresi; e voltogli le stiene, io brontolando e lui bravando, mi parti'. Andai a trovare il sopraditto Duca con la sua medaglia finita; il quale mi fece le piú onorate carezze che mai si facessino a uomo del mondo: e aveva commesso a quel suo messer Girolamo Giliolo, che per quelle mie fatiche trovassi uno anello d'un diamante di valore di ducento scudi, e che lo dessi al Fiaschino suo cameriere, il quale me lo dessi. Cosí fu fatto. Il ditto Fiaschino, la sera che il giorno gli avevo dato la medaglia, a un'ora di notte mi porse uno anello drentovi un diamante, il quale aveva gran mostra; e disse queste parole da parte del suo Duca: che quella unica virtuosa mano, che tanto bene aveva operato, per memoria di Sua Eccellenzia con quel diamante si adornassi la ditta mano. Venuto il giorno, io guardai il ditto anello, il quale era un diamantaccio sottile, il valore d'un dieci scudi in circa. E perché quelle tante meravigliose parole, che quel Duca m'aveva fatto usare, io, che non volsi che le fussino vestite di un cosí poco premio, pensando il Duca d'avermi ben sattisfatto; e io che m'immaginai che la venissi da quel suo furfante tesauriere, detti l'anello a un mio amico, che lo rendessi al cameriere Fiaschino, in ogni modo che egli poteva.


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La Vita di Benvenuto Cellini
di Benvenuto Cellini
pagine 536

   





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