Cosí faccendo, una mattina al suo desinare mi chiamò il Re: cominciò a parlar meco in taliano, e disse che aveva animo di fare molte opere grande, e che presto mi darebbe ordine dove io avessi a lavorare, con provvedermi di tutto quello che mi faceva bisogno; con molti altri ragionamenti di piacevoli e diverse cose. Il cardinal di Ferrara era alla presenza, perché quasi di continuo mangiava la mattina al tavolino del Re; e sentito tutti questi ragionamenti, levatosi il Re dalla mensa, il cardinal di Ferrara in mio favore disse, per quanto mi fu riferito: - Sacra Maestà, questo Benvenuto ha molto gran voglia di lavorare; quasi che si potria dire l'esser peccato a far perder tempo a un simile virtuoso -. Il Re aggiunse che gli aveva ben detto, e che meco istabilissi tutto quello che io volevo per la mia provvisione. Il qual Cardinale la sera seguente che la mattina aveva aùto la commessione, dipoi la cena fattomi domandare, mi disse da parte di Sua Maestà come Sua Maestà s'era risoluta che io mettessi mano a lavorare; ma prima voleva che io sapessi qual dovessi essere la mia provvisione. A questo disse il Cardinale: - A me pare, che se Sua Maestà vi dà di provvisione trecento scudi l'anno, che voi benissimo vi possiate salvare; appresso vi dico che voi lasciate la cura a me, perché ogni giorno, viene occasione di poter far bene in questo gran regno e io sempre vi aiuterò mirabilmente -. Allora io dissi: - Sanza che io ricercassi Vostra Signoria reverendissima, quando quella mi lasciò in Ferrara, mi promise di non mi cavar mai di Italia, se prima io non sapevo tutto il modo che con Sua Maestà io dovevo stare; Vostra Signoria reverendissima, in cambio di mandarmi a dire il modo che io dovevo stare, mandò espressa commessione che io dovessi venire in poste, come se tale arte in poste si facessi: che se voi mi avessi mandato a dire di trecento scudi, come voi mi dite ora, io non mi sarei mosso per sei.
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