Cominciò il Re a dimandarmi quello che io facevo, e volse che io lavorassi; di poi mi disse che io gli farei molto piú piacere a non mi affaticare mai, sí bene tòrre quanti uomini io volessi, e quelli far lavorare: perché voleva che io mi conservassi sano per poterlo servir piú lungamente. Risposi a Sua Maestà, che subito io mi ammalerei se io non lavorassi, né manco l'opere non sarebbono di quella sorte - che io desidero fare per Sua Maestà -. Pensando il Re che quello che io dicevo fussi detto per millantarsi, e non perché cosí fussi la verità, me lo fece ridire dal cardinal de Loreno, al quali io mostrai tanto larghe le mie ragione e aperte, che lui ne restò capacissimo: però confortò il Re che mi lasciassi lavorare poco e assai, secondo la mia voluntà.
XVI. Restato sadisfatto il Re delle opere mie, se ne tornò al suo palazzo, e mi lasciò pieno di tanti favori, che saria lungo a dirgli. L'altro giorno appresso, al suo desinare, mi mandò a chiamare. V'era alla presenza il cardinal di Ferrara, che desinava seco. Quando io giunsi, ancora il Re era alla siconda vivanda: accostatomi a Sua Maestà, subito cominciò a ragionar meco, dicendo che da poi che gli aveva cosí bel bacino e cosí bel boccale di mia mano, che per compagnia di quelle tal cose richiedeva una bella saliera, e che voleva che io gnene facessi un disegno; ma ben l'arebbe voluto veder presto. Allora io aggiunsi dicendo: - Vostra Maestà vedrà molto piú presto un tal disegno, che la mi domanda; perché in mentre che io facevo il bacino pensavo che per sua compagnia si gli dovessi far la saliera - e che tal cosa era di già fatta; e che se gli piaceva, io gliene mostrerrei subito.
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