Rispose ridendo: - Diciamo che la sia eguale -. Partimmi con grande allegrezza, e tornai alle mie opere.
XXIII. Volse la mia mala fortuna che io non fui avvertito di fare altretanta commedia con madama de Tampes, che saputo la sera tutte queste cose, che erano corse, dalla propia bocca del Re, gli generò tanta rabbia velenosa innel petto che con isdegno la disse: - Se Benvenuto m'avessi mostro le belle opere sue, m'arebbe dato causa di ricordarmi di lui al tempo -. Il Re mi volse iscusare, e nulla s'appiccò. Io che tal cosa intesi, ivi a quindici giorni - ché, girato per la Normandia a Roano e a Diepa, dipoi eran ritornati a San Germano de l'Aia sopra ditto - presi quel bel vasetto che io avevo fatto a riquisizione della ditta madama di Tampes, pensando che, donandoglielo, dovere riguadagnare la sua grazia. Cosí lo portai meco; e fattogli intendere per una sua nutrice, e mòstrogli alla ditta il bel vaso che io avevo fatto per la sua Signora, e come io gliene volevo donare, la ditta nutrice mi fece carezze ismisurate, e mi disse che direbbe una parola a Madama, qual non era ancor vestita, e che subito dittogliene, mi metterebbe drento. La nutrice disse il tutto a Madama, la qual rispose isdegnosamente: - Ditegli che aspetti -. Io inteso questo, mi vesti' di pazienzia, la qual cosa mi è difficilissima; pure ebbi pazienzia insin doppo il suo desinare: e veduto poi l'ora tarda, la fame mi causò tanta ira, che non potendo piú resistere, mandatole divotamente il canchero nel cuore, di quivi mi parti' e me n'andai a trovare il cardinale di Loreno, e li feci presente del ditto vaso, raccomandatomi solo che mi tenessi in buona grazia del Re. Disse che non bisognava, e quando fussi bisogno, che lo farebbe volentieri: di poi chiamato un suo tesauriere, gli parlò nello orecchio.
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