E perché forse di tale bestiale passione io mi sarei morto, presi per rimedio di dar quell'esito, che m'aveva dato tale occasione, sicondo il modo che in me sentivo. Dissi a quel mio lavorante ferrarese, che si chiamava il Chioccia, che venissi meco, e mi feci menar dietro dal servitore el mio cavallo; e giunto a casa, dove era questo isciagurato, trovato la porta socchiusa, entrai dentro: viddilo che gli aveva accanto la spada e 'l pugnale, ed era assedere in su 'n un cassone, e teneva il braccio al collo a la Caterina: appunto arrivato, senti' che lui con la madre di lei motteggiava de' casi mia. Spinta la porta innun medesimo tempo messo la mana alla spada, gli posi la punta d'essa alla gola, non gli avendo dato tempo a poter pensare che ancora lui aveva la spada, dissi a un tratto: - Vil poltrone, raccomandati a Dio, che tu se' morto -. Costui, fermo, disse tre volte: - O mamma mia, aiutatemi -. Io che avevo voglia d'ammazzarlo a ogni modo, sentito che ebbi quelle parole tanto sciocche, mi passò la metà della stizza. Intanto aveva detto a quel mio lavorante Chioccia, che non lasciassi uscire né lei né la madre, perché se io davo allui, altretanto male volevo fare a quelle dua puttane. Tenendo continuamente la punta della spada alla gola, e alquanto un pochetto lo pugnevo, sempre con paventose parole; veduto poi che lui non faceva una difesa al mondo, e io non sapevo piú che mi fare, e quella bravata fatta non mi pareva che l'avessi fine nessuna, mi venne in fantasia, per il manco male, di fargnene isposare, con disegno di far da poi le mie vendette.
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Chioccia Caterina Dio Chioccia
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