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      - In mentre che io facevo questo mio conto, questa ribalda moltipricava con quelle parole ingiuriose, parlando pure del suo marito; e tanto faceva e diceva, che lei mi cavava de' termini della ragione; e datomi in preda all'ira, la pigliavo pe' capegli e la strascicavo per la stanza, dandogli tanti calci e tante pugna insino che io ero stracco. E quivi non poteva entrare persona al suo soccorso. Avendola molto ben pesta, lei giurava di non mai piú voler tornar da me; per la qual cosa la prima volta mi parve molto aver mal fatto, perché mi pareva perdere una mirabile occasione al farmi onore. Ancora vedevo lei esser tutta lacerata, livida e enfiata, pensando che, se pure lei tornassi, essere di necessità di farla medicare per quindici giorni, innanzi che io me ne potessi servire.
     
      XXXV. Tornando allei, mandavo una mia serva che l'aiutassi vestire, la qual serva era una donna vecchia che si domandava Ruberta, amorevolissima; e giunta a questa ribaldella, le portava di nuovo da bere e da mangiare; di poi l'ugneva con un poco di grasso di carnesecca arrostito quelle male percosse che io le avevo date, e 'l resto del grasso che avanzava se lo mangiavano insieme. Vestita, poi si partiva bestemmiando e maladicendo tutti li taliani e il Re che ve gli teneva: cosí se ne andava piagnendo e borbottando insino a casa. Certo che a me questa prima volta parve molto aver mal fatto; e la mia Ruberta mi riprendeva, e pur mi diceva: - Voi sete ben crudele a dare tanto aspramente a una cosí bella figlietta -. Volendomi scusare con questa mia Ruberta, dicendole le ribalderie che l'aveva fatte, e lei e la madre, quando la stava meco, a questo la Ruberta mi sgridava, dicendo che quel non era nulla, perché gli era il costume di Francia, e che sapeva certo che in Francia non era marito che non avessi le sue cornetta.


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La Vita di Benvenuto Cellini
di Benvenuto Cellini
pagine 536

   





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