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      A queste parole io mi movevo a risa, e poi dicevo alla Ruberta che andassi a vedere come la Caterina istava, perché io arei aùto a piacere di poter finire quella mia opera, servendomi di lei. La mia Ruberta mi riprendeva, dicendomi che io non sapevo vivere; perché - a pena sarà egli giorno, che lei verrà qui da per sé, dove che, se voi la mandassi a domandare o a visitare, la farebbe il grande e non ci vorrebbe venire -. Venuto il giorno seguente, questa ditta Caterina venne alla porta mia, e con gran furore picchiava la ditta porta, di modo che, per essere io abbasso, corsi a vedere se questo era pazzo o di casa. Aprendo la porta, questa bestia ridendo mi si gittò al collo, abbracciommi e baciommi, e mi dimandò se io era piú crucciato con essa. Io dissi che no. Lei disse: - Datemi ben d'asciolvere addunche -. Io le detti ben d'asciolvere, e con essa mangiai per segno di pace. Di poi mi messi a ritrarla, e in quel mezzo vi occorse le piacevolezze carnali, e di poi a quell'ora medesima del passato giorno, tanto lei mi stuzzicò, che io l'ebbi a dare le medesime busse; e cosí durammo parecchi giorni, faccendo ogni dí tutte queste medesime cose, come che a stampa: poco variava dal piú al manco. Intanto io, che m'avevo fatto grandissimo onore e finito la mia figura, detti ordine di gittarla di bronzo; innella quale io ebbi qualche difficultà, che sarebbe bellissimo per gli accidenti dell'arte a narrare tal cosa; ma perché io me ne andrei troppo in lunga, me la passerò. Basta che la mia figura venne benissimo, e fu cosí bel getto come mai si facessi.


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La Vita di Benvenuto Cellini
di Benvenuto Cellini
pagine 536

   





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