XXXVI. In mentre che questa opera si tirava innanzi, io compartivo certe ore del giorno e lavoravo in su la saliera, e quando in sul Giove. Per essere la saliera lavorata da molte piú persone che io non avevo tanto di comodità per lavorare in sul Giove, di già a questo tempo io l'avevo finita di tutto punto. Era ritornato il Re a Parigi, e io l'andai a trovare, portandogli la ditta saliera finita; la quale, sí come io ho detto di sopra, era in forma ovata ed era di grandezza di dua terzi di braccio in circa, tutta d'oro, lavorata per virtú di cesello. E sí come io dissi quando io ragionai del modello, avevo figurato il Mare e la Terra assedere l'uno e l'altro, e s'intramettevano le gambe, sí come entra certi rami del mare infra la tetra, e la terra infra del detto mare: cosí propiamente avevo dato loro quella grazia. A il Mare avevo posto in mano un tridente innella destra; e innella sinistra avevo posto una barca sottilmente lavorata, innella quale si metteva la salina. Era sotto a questa detta figura i sua quattro cavalli marittimi, che insino al petto e le zampe dinanzi erano di cavallo; tutta la parte dal mezzo indietro era di pesce: queste code di pesce con piacevol modo s'intrecciavano insieme; in sul qual gruppo sedeva con fierissima attitudine il detto Mare: aveva all'intorno molta sorte di pesci e altri animali marittimi. L'acqua era figurata con le sue onde; di poi era benissimo smaltata del suo propio colore. Per la Terra avevo figurato una bellissima donna, con il corno della sua dovizia in mano, tutta ignuda come il mastio appunto; nell'altra sua sinistra mana avevo fatto un tempietto di ordine ionico, sottilissimamente lavorato; e in questo avevo accomodato il pepe.
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