Cosí fece buon giudizio, e volse che la mia opera del Giove fossi valutata ancora essa dumila ducati, dicendo: - A quelli io non davo salario nessuno: a questo, che io do mille scudi incirca di salario, certo egli me la può fare per il prezzo di dumila scudi d'oro, avendo il ditto vantaggio del suo salario -. Appresso io lo menai a vedere altre opere d'argento e d'oro, e molti altri modegli per inventare opere nuove. Di poi all'utimo della sua partita, innel mio prato del castello scopersi quel gran gigante, a il quale il Re fece una maggior maraviglia che mai gli avessi fatto a nessuna altra cosa; e voltosi all'Amiraglio, qual si chiamava Monsignor Aniballe, disse: - Da poi che dal Cardinale costui di nulla è stato provisto, gli è forza che per essere ancor lui pigro a domandare, sanza dire altro voglio che lui sia provisto: sí che questi uomini, che non usano dimandar nulla, par lor dovere che le fatiche loro dimandino assai: però provedetelo della prima badia che vaca, qual sia insino al valore di dumila scudi d'entrata; e quando ella non venga in una pezza sola, fate che la sia in dua e tre pezzi, perché a lui gli sarà il medesimo -. Io, essendo alla presenza, senti' ogni cosa e subito lo ringraziai, come se aúta io l'avessi, dicendo a Sua Maestà che io volevo, quando questa cosa fossi venuta, lavorare per Sua Maestà sanza altro premio né di salario né d'altra valuta d'opere, infino a tanto che costretto dalla vecchiaia, non possendo piú lavorare, io potessi in pace riposare la istanca vita mia, vivendo con essa entrata onoratamente, ricordandomi d'aver servito un cosí gran Re, quant'era Sua Maestà. A queste mie parole il Re con molta baldanza lietissimo inverso di me disse: - E cosí si facci - e contento Sua Maestà da me si partí, e io restai.
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