Questi erano molto mia conoscenti, e mi dissono che quella era una cerimonia fatta bene con commessione del Re, ma che la non importava molto; e che se io gli avessi fatto qualche poco di resistenza, lui non arebbe preso la possessione, come egli fece; e che quelli erano atti e costumi della corte, i quali non toccavano punto l'ubbidienza del Re; di modo che, quando a me venissi bene il cavarlo di possessione in quel modo che v'era entrato, saria ben fatto, e non ne saria altro. A me bastò essere accennato, che l'altro giorno cominciai a mettere mano all'arme; e se bene io ebbi qualche diflicultà, me l'avevo presa per piacere. Ogni dí un tratto facevo uno assalto con sassi, con picche, con archibusi, pure sparando sanza palla; ma mettevo loro tanto ispavento, che nissuno non voleva piú venire a 'iutarlo. Per la qual cosa, trovando un giorno la sua battaglia debole, entrai per forza in casa, e lui ne cacciai, gittandogli fuori tutto tutto quello che lui v'aveva portato. Di poi ricorsi al Re, e li dissi che io avevo fatto tutto tutto che Sua Maestà m'aveva commisso, difendendomi da tutti quelli che mi volevano inpedire il servizio di Sua Maestà. A questo il Re se ne rise, e mi spedí nuove lettere, per le quale io non avessi piú da esser molestato.
XLI. Intanto con gran sollecitudine io fini' il bel Giove d'argento, insieme con la sua basa dorata, la quale io avevo posta sopra uno zocco di legno, che appariva poco; e in detto zocco di legno avevo commesso quattro pallottole di legno forte, le quali istavano piú che mezze nascoste nelle lor casse, in foggia di noce di balestre.
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Sua Maestà Sua Maestà Giove
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