Lei pensò che io gli avessi scoperto quella parte per proprio ischerno. Avvedutosi il Re di quello isdegno e io vinto dalla passione, volsi cominciare a parlare: subito il savio Re disse queste formate parole in sua lingua: - Benvenuto, io ti taglio la parola; sí che sta cheto, e arai piú tesoro che tu non desideri, l'un mille -. Non possendo io parlare, con gran passione mi scontorcevo: causa che lei piú sdegnosa brontolava; e il Re, piú presto assai di quel che gli arebbe fatto, si partí, dicendo forte, per darmi animo, aver cavato di Italia il maggior uomo che nascessi mai, pieno di tante professione.
XLII. Lasciato il Giove quivi, volendomi partire la mattina, mi fece dare mille scudi d'oro: parte erano di mia salari, e parte di conti, che io mostravo avere speso di mio. Preso li dinari, lieto e contento me ne tornai a Parigi; e subito giunto, rallegratomi in casa, di poi il desinare feci portare tutti li miei vestimenti, quali erano molta quantità di seta, di finissime pelle e similmente di panni sottilissimi. Questi io feci a tutti quei mia lavoranti un presente, donandogli sicondo i meriti d'essi servitori, insino alle serve e i ragazzi di stalla, dando a tutti animo che m'aiutassino di buon cuore. Ripreso il vigore, con grandissimo istudio e sollecitudine mi missi intorno a finire quella grande statua del Marte, quale avevo fatto di legni benissimo tessuti per armadura; e di sopra, la sua carne si era una crosta, grossa uno ottavo di braccio, fatta di gesso e diligentemente lavorata; dipoi avevo ordinato di formare di molti pezzi la ditta figura, e commetterla da poi a coda di rondine, si come l'arte promette; che molto facilmente mi veniva fatto.
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