XLIII. In quel mentre io m'attendevo a mettere insieme la mia bella porta, con tutte le infrascritte cose. E perché io non mi voglio curare di scrivere in questa mia Vita cose che s'appartengono a quelli che scrivono le cronache, però ho lasciato indietro la venuta dello Imperadore con il suo grande esercito, e il Re con tutto il suo sforzo armato. E in questi tempi cercò del mio consiglio, per affortificare prestamente Parigi: venne a posta per me a casa, e menommi intorno a tutta la città di Parigi; e sentito con che buona ragione io prestamente gli affortificavo Parigi, mi dette ispressa commessione, che quanto io avevo detto subitamente facessi; e comandò al suo Amiraglio che comandassi a quei populi che mi ubbidissino, sotto 'l poter della disgrazia sua. L'Amiraglio, che era fatto tale per il favore di Madama di Tampes e non per le sue buone opere, per essere uomo di poco ingegno e per essere il nome suo monsignore d'Anguebò, se bene in nostra lingua e' vol dire monsignor d'Aniballe, in quella loro lingua e' suona in modo, che quei populi i piú lo chiamavano monsignore Asino Bue; questa bestia, conferito il tutto a Madama di Tampes, lei gli comandò che prestamente egli facessi venire Girolimo Bellarmato. Questo era uno ingegnere sanese ed era a Diepa, poco piú d'una giornata discosto da Parigi. Venne subito, e messo in opera la piú lunga via da forzificare, io mi ritirai da tale impresa; e se lo Imperadore spigneva innanzi, con gran facilità si pigliava Parigi. Ben si disse che in quello accordo fatto da poi, Madama di Tampes, che piú che altra persona vi s'era intermessa, aveva tradito il Re. Altro non mi occorre dire di questo, perché non fa al mio proposito.
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