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      Conosciuto ora che a Dio non è piaciuto di farmi degno d'un tanto onorato servizio, la priego che, cambio di quello onorato premio che vostra Maestà alle opere mie aveva destinato, solo mi dia un poco della sua buona grazia e con essa buona licenzia; perché in questo punto, faccendomi degno di tal cose, mi partirò tornandomi in Italia, sempre ringraziando Idio e Vostra Maestà di quell'ore felice che io sono stato al suo servizio.
     
      XLVI. Mi prese con le sue mane, e levommi con gran piacevolezza di ginocchioni; di poi mi disse che io dovessi contentarmi di servirlo, e che tutto quello che io avevo fatto era buono, e gli era gratissimo. E voltosi a quei Signori disse queste formate parole: - Io credo certamente che, se il Paradiso avessi d'aver porte, che piú bella di questa già mai non l'arebbe -. Quando io viddi fermato un poco la baldanza di quelle parole, quale erano tutte in mio favore, di nuovo con grandissima reverenza io lo ringraziai, replicando pure di volere licenza; perché a me non era passata ancora la stizza. Quando quel gran Re s'avvidde che io non aveva fatto quel capitale che meritavono quelle sue inusitate e gran carezze, mi comandò con una grande e paventosa voce che io non parlassi piú parola, ché guai a me; e poi aggiunse che mi affogherebbe nell'oro, e che mi dava licenzia, che, dipoi l'opere commessemi da Sua Maestà, tutto quel che io facevo in mezzo da per me era contentissimo, e che non mai piú io arei diferenza seco, perché m'aveva conosciuto; e che ancora io m'ingegnassi di cognoscere Sua Maestà, sí come voleva il dovere.


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La Vita di Benvenuto Cellini
di Benvenuto Cellini
pagine 536

   





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