Il ditto Cardinle mi disse che molto volentieri arebbe fatto tutto quel che potessi per farmi quel piacere, e che liberamente io ne lasciassi la cura a lui; e anche, se io volevo, potevo andare liberamente, perché lui mi tratterrebbe benissimo con il Re. Io dissi al ditto Cardinale, sí come io sapevo che Sua Maestà m'aveva dato in custode a Sua Signoria reverendissima, e che se quella mi dava licenzia, io volentieri mi partirei, per tornare a un sol minimo cenno di Sua Signoria reverendissima. Allora il Cardinale mi disse, che io me n'andassi a Parigi, e quivi sopra stessi otto giorni, e in questo tempo lui otterrebbe grazia dal Re che io potrei andare: e in caso che il Re non si contentassi che io partissi, sanza manco nessuno me ne darebbe avviso; il perché, non mi scrivendo altro, saria segno che io potrei liberamente andare.
XLIX. Andatomene a Parigi, sí come m'aveva detto il Cardinale, feci di mirabil casse per quei tre vasi d'argento. Passato che fu venti giorni, mi messi in ordine, e li tre vasi messi in su 'n una soma di mulo, il quale mi aveva prestato per insino in Lione il vescovo di Pavia, il quale io avevo alloggiato di nuovo innel mio castello. Partimmi innella mia malora, insieme col signore Ipolito Gonzaga, il qual signore stava al soldo del Re e trattenuto dal conte Galeotto della Mirandola, e con certi altri gentiluomini del detto conte. Ancora s'accompagnò con esso noi Lionardo Tedaldi nostro fiorentino. Lasciai Ascanio e Pagolo in custode del mio castello e di tutta la mia roba, infra la quale era certi vasetti cominciati, i quali io lasciavo, perché quei dua giovani non si stessino.
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