Avevo mandato piú d'uno anno innanzi gioie e dorure franzese per il valore di piú di dumila ducati, e meco ne avevo portate per li valore di circa mille scudi. Trovai che, se bene io davo loro continuamente quattro scudi d'oro il mese, ancora continuamente pigliavano di gran danari di quelle mie dorure che alla giornata loro vendevano. Quel mio cognato era tanto uomo da bene che, per paura che io non mi avessi a sdegnar seco, non gli bastando i dinari che io gli mandavo per le sue provvisione, dandogliene per limosina, aveva inpegnato quasi ciò che gli aveva al mondo, lasciandosi mangiare dagli interessi, solo per non toccare di quelli dinari che non erano ordinati per lui. A questo io cognobbi che gli era molto uomo da bene e mi crebbe voglia di fargli piú limosina: e prima che io partissi di Firenze volevo dare ordine a tutte le sue figlioline.
LIII. Il nostro Duca di Firenze in questo tempo, che eramo del mese d'agosto nel 1545, essendo al Poggio a Caiano, luogo dieci miglia discosto di Firenze, io l'andai a trovare, solo per fare il debito mio, per essere anch'io cittadino fiorentino e perché i mia antichi erano stati molto amici della casa de' Medici, e io piú che nessuno di loro amavo questo duca Cosimo. Sí come io dico, andai al detto Poggio solo per fargli reverenza e non mai con nessuna intenzione di fermarmi seco, sí come Dio, che fa bene ogni cosa, a lui piacque: ché veggendomi il detto Duca, dipoi fattomi molte infinite carezze, e lui e la Duchessa mi dimandorno dell'opere che io avevo fatte al Re; alla qual cosa volentieri, e tutte per ordine, io raccontai.
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