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      E con la sua solita prudenzia e severità, io lo visitai senza alcuna cerimonia; stato alquanto con la detta severità, di poi piacevolmente mi si volse e mi domandò dove io ero stato. Al quale io risposi che il cuor mio mai non si era scostato un dito da Sua Eccellenzia illustrissima, se bene per qualche giuste occasioni e' mi era stato di necessità di menare un poco il mio corpo a zonzo. Allora faccendosi piú piacevole, mi cominciò a domandar di Vinezia e cosí ragionammo un pezzo; poi ultimamente mi disse che io attendessi a lavorare e che io gli finissi il suo Perseo. Cosí mi tornai a casa lieto e allegro, e rallegrai la mia famiglia, cioè la mia sorella con le sue sei figliuole, e ripreso l'opere mie, con quanta sollecitudine io potevo le tiravo innanzi.
     
      LXIII. E la prima opera che io gittai di bronzo fu quella testa grande, ritratto di Sua Eccellenzia, che io avevo fatta di terra nell'oreficerie, mentre che io avevo male alle stiene. Questa fu un'opera che piacque e io non la feci per altra causa se non per fare sperienzia delle terre da gittare il bronzo. E se bene io vedevo che quel mirabil Donatello aveva fatto le sue opere di bronzo, quale aveva gittate con la terra di Firenze, e' mi pareva che l'avessi condutte con grandissima difficultà; e pensando che venissi dal difetto della terra, innanzi che io mi mettessi a gittare il mio Perseo, io volsi fare queste prime diligenzie; per le quali trovai esser buona la terra, se bene non era stata bene intesa da quel mirabil Donatello, perché con grandissima difficultà vedevo condotte le sue opere.


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La Vita di Benvenuto Cellini
di Benvenuto Cellini
pagine 536

   





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