LXXI. Questo uomo non potette stare alle mosse d'aver pazienza che io dicessi ancora i gran difetti di Cacco; l'una si era che io dicevo 'l vero, l'altra si era che io lo facevo conoscere chiaramente al Duca e agli altri che erano alla presenzia nostra, che facevano i piú gran segni e atti di dimostrazione di maravigliarsi e allora conoscere che io dicevo il verissimo. A un tratto quest'uomaccio disse: - Ahi cattiva linguaccia, o dove lasci tu 'l mio disegno? - Io dissi che chi disegnava bene e' non poteva operar mai male - imperò io crederrò che 'l tuo disegno sia come sono le opere -. Or, veduto quei visi ducali e gli altri, che con gli sguardi e con gli atti lo laceravano, egli si lasciò vincere troppo dalla sua insolenzia, e voltomisi con quel suo bruttissimo visaccio, a un tratto mi disse: - Oh sta' cheto, soddomitaccio -. Il Duca a quella parola serrò le ciglia malamente inverso di lui, e gli altri serrato le bocche e aggrottato gli occhi inverso di lui. Io, che mi senti' cosí scelleratamente offendere, sforzato dal furore, e a un tratto, corsi al rimedio e dissi: - O pazzo, tu esci dei termini: ma Iddio 'l volessi che io sapessi fare una cosí nobile arte, perché e' si legge ch'e' l'usò Giove con Ganimede in paradiso, e qui in terra e' la usano i maggiori imperatori e i piú gran re del mondo. Io sono un basso e umile omicciattolo, il quale né potrei né saprei impacciarmi d'una cosí mirabil cosa -. A questo nessuno non potette esser tanto continente che 'l Duca e gli altri levorno un rumore delle maggior risa che immaginar si possa al mondo.
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