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      Cosí egli andò al fatto sua: e io cominciai il mio bastione. E come io ebbi dato l'ordine al detto bastione, andai all'altra porticciuola d'Arno, dove io trovai un capitano da Cesena, il piú gentil galante uomo che mai io conoscessi di tal professione: ci dimostrava di essere una gentil donzelletta, e al bisogno egli si era de' piú bravi uomini e 'l piú miciduale che immaginar si possa. Questo gentile uomo mi osservava tanto che molte volte ei mi faceva peritare: e' desiderava di intendere e io piacevolmente gli mostravo: basta che noi facevàno a chi si faceva maggior carezze l'un l'altro, di sorte che io feci meglio questo bastione, che quello, assai. Avendo presso e finiti li mia bastioni, per aver dato una correria certe gente di quelle di Piero Strozzi, e' si era tanto spaventato 'l contado di Prato, che tutto ci si sgombrava, e per questa cagione tutte le carra di quel contado venivano cariche, portando ogniuno le sue robe alla città. E perché le carra si toccavano l'uno l'altra, le quali erano una infinità grandissima, vedendo un tal disordine, io dissi alle guardie delle porte che avvertissono che a quella porta e' nonnaccadessi un disordine come avvenne alle porte di Turino; ché bisognando l'aversi asservirsi della saracinesca, la non potria fare l'uffizio suo, perché la resterebbe sospesa in su uno di que' carri. Sentendo quel bestion di quel capitano queste mia parole, mi si volse con ingiuriose parole, e io gli risposi altanto; di modo che noi avemmo affar molto peggio che quella prima volta: imperò noi fummo divisi; e io, avendo finiti i mia bastioni, toccai parecchi scudi innaspettatamente, che e' me ne giovò, e volentieri me ne tornai affinire 'l mio Perseo.


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La Vita di Benvenuto Cellini
di Benvenuto Cellini
pagine 536

   





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