Il Duca la sottoscrisse molto volentieri, tanto quanto io ne fu' malcontento. Come la Duchessa lo intese, la disse: - Gli era molto meglio per quel povero uomo che e' l'avessi rimessa in me, che gne l'arei fatto dare cinque mila scudi d'oro - e un giorno che io ero ito in Palazzo, la Duchessa mi disse le medesime parole alla presenzia di messer Alamanno Salviati, e mi derise, dicendomi che e' mi stava bene tutto 'l male che io avevo. Il Duca ordinò che e' mi fussi pagato cento scudi d'oro innoro il mese, insino alla detta somma, e cosí si andò seguitando qualche mese. Dipoi messer Antonio de' Nobili, che aveva aúta la detta commessione, cominciò a darmene cinquanta, e di poi quando me ne dava venticinque e quando non me gli dava; di sorte che, vedutomi cosí prolungare, amorevolmente dissi al detto messer Antonio, pregandolo che e' mi dicessi la causa perché e' non mi finiva di pagare. Ancora egli benignamente mi rispose: innella qual risposta e' mi parve ch'e' s'allargassi un poco troppo, perché - giudichilo chi intende - in prima mi disse che la causa perché lui non continuava il mio pagamento si era la troppa strettezza che aveva 'l Palazzo di danari, ma che egli mi prometteva che come gli venissi danari, che mi pagherebbe; e aggiunse dicendo: - Oimè! se io non ti pagassi, io saria un gran ribaldo -. Io mi maravigliai il sentirgli dire una cotal parola, e per quella mi promissi che quando e' potessi, che e' mi pagherebbe. Per la qual cosa e' ne seguí tutto 'l contrario, di modo che, vedendomi straziare, io m'adirai seco e gli dissi molte ardite e collorose parole, e gli ricordai tutto quello che lui m'aveva detto che sarebbe.
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