Imperò egli si morí, e io resto ancora a 'vere cinquecento scudi d'oro insino a ora, che siamo vicini alla fine dell'anno 1566. Ancora io restavo d'avere un resto di mia salari, il quale mi pareva che e' non si facessi piú conto di pagarmegli, perché gli eran passati incirca a tre anni; ma gli avvenne una pericolosa infermità al Duca, che gli stette quarantotto ore senza potere orinare; e conosciuto che i remedi de' medici non gli giovavano, forse ei ricorse a Iddio, e per questo e' volse che ogniuno fussi pagato delle sue provvisione decorse e ancora io fui pagato; ma nonfu' pagato già del mio resto del Perseo.
XCVII. Quasi che io m'ero mezzo disposto di non dir piú nulla dello isfortunato mio Perseo; ma per essere una occasione che mi sforza tanta notabile, imperò io rappiccherò il filo per un poco, tornando alquanto addietro. Io pensai di fare il mio meglio, quando io dissi alla Duchessa, che io non potevo piú far compromesso di quello che non era piú in mio potere, perché io avevo ditto al Duca che io mi contentavo di tutto quello che Sua Eccellenzia illustrissima mi volessi dare: e questo io lo dissi pensando di gratuirmi alquanto; e con quel poco de l'umiltà cercavo con ogni opportuno remedio di placare alquanto il Duca, perché certi pochi giorni in prima che e' si venissi all'accordo dell'Albizi, il Duca s'era molto dimostro di essersi crucciato meco: e la causa fu, che dolendomi con Sua Eccellenzia di certi assassinamenti bruttissimi che mi faceva messer Alfonso Quistello e messer Iacopo Polverino, fiscale, e piú che tutti ser Giovanbattista Brandini, volterrano; cosí dicendo con qualche dimostrazione di passione queste mie ragioni, io vidi venire il Duca in tanta stizza, quanto mai e' si possa immaginare.
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