Fatto che furno le insalate, e cominciando a volere entrare attavola, quel detto mal prete, faccendo un certo suo cattivo risino, disse: - E' bisogna che voi mi perdoniate, perché io non posso cenar con esso voi, perché e' m'è sopragiunto una faccenda di grande inportanza per conto dello Sbietta, mio fratello: per non ci essere lui, bisogna che io sopperisca per lui -. Noi tutti lo pregammo e non potemmo mai svoggerlo: egli se n'andò, e noi cominciammo accenare. Mangiato che noi avemmo le insalate in certi piattelloni comuni, cominciandoci a dare carne lessa, venne una scodella per uno. Il Santino, che mi era attavola al dirimpetto, disse: - A voi e' danno tutte le stoviglie diferente da quest'altre: or vedesti voi mai le piú belle? - Io gli dissi che di tal cosa io non me n'ero avveduto. Ancora ei mi disse che io chiamassi a tavola la moglie dello Sbietta, la quale, lei e quel Cecchino Buti, correvono innanzi e indietro, tutti infaccendati istrasordinatamente. In fine io pregai tanto quella donna che la venne; la quale si doleva, dicendomi: - Le mie vivande non vi sono piaciute. Però voi mangiate cosí poco -. Quando io l'ebbi parecchi volte lodato la cena, dicendole che io non mangiai mai né piú di voglia né meglio, all'ultimo io dissi che io mangiavo il mio bisogno appunto. Io non mi sarei mai immaginato perché quella donna mi faceva tanta ressa che io mangiassi. Finito che noi avemmo di cenare gli era passato le ventun'ora, e io avevo desiderio di tornarmene la sera a Trespiano, per potere andare l'altro giorno al mio lavoro della Loggia: cosí dissi addio attutti, e ringraziato la donna mi parti'. Io non fui discosto tre miglia, che e' mi pareva che lo stomaco mi ardessi, e mi sentivo travagliato di sorte che e' mi pareva mill'anni di arrivare al mio podere di Trespiano.
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