Nè solo in queste cose è difettosa quella edizione. Il Tambroni volle porre al testo cenniniano alcune note, il più delle quali sono per le voci dell’arte, e intenderebbero a spiegare co’ nomi odierni i nomi di certi colori. Ma, tra per la non molta conoscenza della chimica pittorica ch’era in lui, tra perchè nuovi studi e nuove indagini scientifiche sui colori degli antichi, imprese a fare dipoi, hanno condotto a meglio conoscere la natura e qualità degli ingredienti usati nella pittura e le pratiche nell’operarli; le annotazioni dell’editore romano riuscirono spesso inesatte, e quasi sempre insufficienti.
L’editore romano, nel discorso che prepone al libro di Cennino, è d’opinione, e in ciò segue il Baldinucci, che Cennino componesse il suo Trattato nelle carceri delle Stinche, e lo finisse di scrivere a’ 31 di luglio del 1437; tenendo per vero che il ricordo posto nel codice Laurenziano sia dell’autore, e non, come, stando con Antonio Benci, abbiamo dimostrato noi più sopra, che appartenga invece a chi copiò il libro.
Ma non ostante tali difetti, dovremo sempre saper grado al Tambroni di aver tratto alla luce un’opera di tanta importanza; che forse, senza di lui, chi sa quant’anni ancora sarebbe rimasta ignorata; e adoperatovi tempo e fatica non piccola. Che se non riuscì a darne un’edizione quale sarebbesi desiderata e il libro esigeva, non fu tutta sua la colpa.
Ma è d’uopo ornai che venghiamo a dire della nostra edizione. E cominceremo da render conto dei codici.
A’ tempi di Domenico Maria Manni un esemplare di questo Trattato era conservato nella casa dei Beltramini di Colle di Valdelsa.
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Il libro dell'arte
o Trattato della pittura
di Cennino Cennini
Le Monnier Firenze 1859
pagine 275 |
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