) e si recò là dove trovavasi il suo scudiere che stava col petto appoggiato al suo asino, e con la mano alla guancia come un uomo assorto in gravi pensieri. Vedendolo don Chisciotte a quella guisa, e immerso nella maggiore tristezza, gli disse: - Sappi, o Sancio, che un uomo non è da più di altro uomo, quando non fa più di un altro: tutte queste burrasche che ci intervengono, sono segnali che presto ha da rasserenarsi il cielo, e debbonsi cangiar in bene le cose, poiché non è possibile che il bene ed il male sieno di eterna durata. Laonde poiché il male persiste già da gran tempo, è da credere che sia per cominciare il bene; né devi dunque accuorarti per le disgrazie che mi succedono, e delle quali tu non sei punto partecipe. - E come no? rispose Sancio; quello che ieri fu trabalzato con la coperta non era il figliuol di mio padre? e le bisacce che adesso mi trovo mancare con tutto quel poco che contenevano, di chi non erano se non mie? - E che, Sancio, disse don Chisciotte, ti furono tolte le tue bisacce? - E come mi sono state rubate! rispose Sancio. - Dunque, replicò don Chisciotte, oggi non avremo di che mangiare! - E così sarebbe, replicò Sancio, se questi prati non fossero forniti di quelle erbe che vossignoria
dice di conoscere, e colle quali si pascono nelle dure necessità i cavalieri erranti sventurati al pari della signoria vostra. - Per altro, rispose don Chisciotte, io adesso gradirei piuttosto un pezzo di pane o di focaccia con due teste di aringhe che quant'erbe descrive Dioscoride, fosse pure quello illustrato dal dottor Laguna.
| |
Chisciotte Sancio Sancio Sancio Chisciotte Sancio Chisciotte Sancio Chisciotte Dioscoride Laguna
|