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      Non cerco salute senza Lucinda; e poiché piace a lei di essere d'altri, mentre è o dovrebbe esser mia, piacerà a me di essere vittima della sventura, quando avrei potuto vivere felice in sua compagnia. Ha voluto essa colla sua incostanza la perdita mia, ed io appagherò le sue brame procurando di perdermi; e sarà esempio ai posteri che a me solo mancò fin quello che rimane ai più grandi sventurati, ai quali suole recare alleviamento la impossibilità di ottenere l'oggetto amato; mentre anzi è per me sorgente di nuovi mali e di maggiori fatalità, perché io porto opinione che non si possa finirla neppure colla morte."
      Qui pose termine Cardenio al suo lungo ragionamento e alla sua tanto dolente quanto amorosa istoria. Mentre si disponeva il curato a dirgli alcuna parola di consolazione, tacer lo fece una voce che gli giunse all'orecchio, e che con espressioni di dolore diceva ciò che si leggerà nel seguente capitolo.
     
      CAPITOLO XXVIII
     
      RACCONTASI LA NUOVA E PIACEVOLE AVVENTURASUCCESSA AL CURATO ED AL BARBIERE NELLA MONTAGNA MEDESIMA.
     
      Ho più volte pensato quanto dovettero essere felici ed avventurosi i tempi nei quali visse al mondo l'arditissimo cavaliere don Chisciotte della Mancia; il quale per aver presa l'onorata deliberazione di far rivivere tra le genti il perduto e quasi estinto ordine della errante cavalleria, è cagione che godiamo in questa nostra misera età di qualche lieto trattenimento, non solo gustando le dolcezze della sua verace istoria, ma ben anche i racconti e gli episodî che in quella s'incontrano, non men dilettevoli e complicati della istoria medesima: la quale, proseguendo ora il suo pettinato, torto ed innaspato filo, ci fa sapere che mentre il curato disponevasi a consolare Cardenio, gli tolse di farlo una voce venutagli agli orecchi: "Oh Dio! diceva, sarebbe possibile che io avessi trovato luogo che servir potesse di sepolcro al pesante carico di questo corpo che a mio dispetto sostengo?


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Don Chisciotte della Mancia
di Miguel de Cervantes Saavedra
Edoardo Perino
1888 pagine 1298

   





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