Disse Camilla che si sarebbe sottomessa ad ogni modo al suo volere. Partì Anselmo, e Lotario fu il giorno seguente a casa dell'amico, dove Camilla lo ricevette con onorevole e conveniente accoglienza, mettendo però ogni studio per non restarsi con lui da sola a solo. Aveva essa a tal fine ordinato che stessero i servi e le cameriere da vicino, e specialmente una donzella, chiamata Leonella, da lei molto amata per essere cresciute insieme fin da fanciulle, e per averla seco condotta quando si accasò con Anselmo. Nei primi tre giorni nulla le disse Lotario, tuttoché ne avesse avuto grand'agio quando si sparecchiava la tavola, e si affrettavano i domestici di andarsene a pranzo, perché così ordinava Camilla. Aveva raccomandato a Leonella di pranzare prima di lei e di non iscostarsele poi un momento; ma essa che aveva il pensiero a cose di sua maggior soddisfazione, non obbediva fedelmente la padrona, che anzi la lasciava sola come se le fosse stato ordinato. L'onestà però di Camilla e la gravità e la compostezza della sua persona erano tali da infrenare la lingua di Lotario: ma intanto ch'egli per le molte virtù di Camilla era costretto a dover tacere, cominciò a contemplare a parte a parte la estrema bellezza e bontà di lei, capaci d'innamorare non solo chi ha un cuore di carne, ma una statua di marmo. Coll'opportunità che gli offrivano il tempo e il luogo avea campo a considerare quanto era degna di essere amata; ed in breve accorgendosi che al cospetto di tanta bellezza la sua virtù mal reggeva, cominciò a desiderare di ritirarsi lontano dalla città dove l'amico più nol trovasse, né fosse possibile a lui di più riveder Camilla; ma il diletto che provava nel riguardarla lo distoglieva tosto di tal pensiero.
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