Perirono in queste due fortezze molti ragguardevoli personaggi, uno dei quali fu Pagano Doria cavaliere dell'abito di San Giovanni, di animo generoso; di che n'è stata prova la sua liberalità da esso usata a favore del suo fratello il famoso Andrea Doria: e ciò che rese più lagrimevole la sua morte si fu l'essere stato ucciso da alcuni Mori, ai quali si era affidato, poiché vide perduto il forte, e che se gli offrirono di condurlo in abito di Moro a Tabarca, ch'è un piccolo porto e casa tenuta dai Genovesi in quella riviera, ed ove si esercitano nella pesca del corallo. Troncarono la testa al
Capo dei Mori, e la offrirono di poi al generale dell'armata turchesca, il quale rese sempre più vero il nostro proverbio castigliano: che quantunque piaccia il tradimento, si aborrisce sempre il traditore; che il generale fece appiccare chi gli recò quel presente per non averglielo portato vivo. Fra i Cristiani che rimasero vittime del Forte, uno si fu don Pietro d'Aghillar, nativo di non so qual paese d'Andalusia, già alfiere nel forte stesso, soldato di molta considerazione e di raro intelletto, e che aveva altresì molta grazia e spontaneità nella poesia. Io aggiungo questa particolarità perché il suo destino lo trasse alla mia galea e al mio banco e lo fece schiavo del mio stesso padrone. Prima che noi salpassimo da quel porto compose questo cavaliere due sonetti a foggia di epitaffi, uno per la Goletta, e un altro per il Forte, e in verità che ve li voglio recitare avendoli a memoria, persuadendomi che potranno recare diletto piuttosto che noia.
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