Questo tignoso vogò al remo, schiavo del gran Signore, pel corso di quattordici anni; pervenuto poi oltre i trentaquattro, per avere comodità di vendicarsi di uno schiaffo ricevuto da un Turco, rinnegò la sua fede. Sì grande fu il suo valore che senza ricorrere ai turpi mezzi ed a quelle indirette vie per le quali i più arrivano ad essere favoriti dal Gran Signore, salì sul trono di Algeri e poi fu generale di mare, ch'è la terza dignità che si conferisce in quell'impero. Era calabrese di nazione e buon uomo, trattando con grande umanità i suoi schiavi, che ascesero al numero di tremila; i quali poi, siccome ordinò col suo testamento, andarono ripartiti tra il Gran Signore (erede di quanti muoiono, e compartecipe insieme coi figli della sostanza che lasci il defunto) e tra i suoi rinnegati. Io toccai in sorte ad un rinnegato veneziano, ch'essendo piloto di una nave era stato fatto prigioniero dall'Ucciali il quale lo amava sopra tutti gli altri suoi garzoni e riuscì poi il più crudele rinnegato che sia stato giammai. Chiamavasi Azanaga; accumulò grandi ricchezze, e montò sul trono di Algeri. Ivi l'ho io seguìto partendo da Costantinopoli alquanto contento di trovarmi sì vicino alla Spagna, non già perché avessi intenzione di far sapere a veruno l'infelice mia sorte, ma per non so quale speranza che in Algeri potesse riuscirmi ciò che in Costantinopoli m'era sempre fallito, dove avevo tentate infinite maniere di fuggire, ma tutte invano. Pensavo di rintracciare in Algeri altri mezzi di secondare gli ardenti miei voti, non avendo perduto giammai la speranza di riacquistare la libertà: e quando io vedeva mal riuscire l'intento da me immaginato, senza cadere di animo andavo studiando nuovi mezzi che alimentavano le mie speranze, tuttoché fossero deboli e inefficaci.
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