A questo tristo modo io conducevo la vita, rinserrato in una prigione che i Turchi chiamano bagno, in cui stanno imprigionati gli schiavi cristiani, sì quelli che sono di proprietà del re, come gli altri che appartengono a private persone, e quelli che chiamano dell'Almazen, ch'è lo stesso che dire, schiavi del Consiglio, i quali servono la città nei lavori pubblici e in altri offizî. Molto difficilmente ottengono questi tali la libertà, perché appartenendo al comune e non ai particolari padroni, non si sa con chi trattare pel loro riscatto, se pure n'avessero i mezzi. In quei bagni dunque dove alcuni signori privati tenevano custoditi gli schiavi che miravano alla loro liberazione, io mi trovava, ed erano in mia compagnia anche alquanti schiavi del re i quali non sogliono escire colla ciurmaglia al lavoro se non quando comincia a perdersi la speranza del riscatto, o quando si crede che l'aumento delle fatiche possa farli più solleciti a comperarsi la libertà; nel qual caso, raddoppiano per costoro i lavori penosi, come a dire il far legna sulle montagne, ch'è insopportabile travaglio. Stavami dunqueframmischiato con questi schiavi da riscatto: ed essendosi saputo il mio grado di capitano, ad onta che avessi dichiarato ch'io era povero e che dovevo quel posto a mille fatiche, mi collocarono nel numero dei cavalieri e della gente da molto prezzo. Mi posero una catena più per segnale di riscatto che per custodia, e a questo modo io passava la vita tra quegli orrori con molti altri cavalieri, e gente di qualità di cui si teneva certa la liberazione.
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Turchi Almazen Consiglio
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